Adriano Mencaroni

Curriculum Adriano Mencaroni

“Ricordi del passato”

 

Adriano Mencaroni

Capo reparto Esperto

Sono nato a Magione in provincia di Perugia il 15 marzo del 1955, sposato, ho un figlio di nome Walter, e due nipoti, Mattia e Tommaso.

Ho frequentato la scuola media inferiore, tre anni di apprendistato studio e lavoro per aggiustatore meccanico, corso serale di apprendimento di disegno meccanico.

Prima dell’ingresso in ruolo nei Vigili del Fuoco ho svolto attività lavorativa presso l’azienda SAI “Società Aeronautica Italiana” di Passignano Sul Trasimeno PG.

Ebbene sì, tutto cominciò per puro caso tanti anni fa. Dopo i famosi tre giorni di visita militare alla caserma Braccio Fortebraccio di Perugia, che tutti i ragazzi dell’epoca dovevano sottoporsi e fui preso idoneo al servizio militare nell’esercito. Insieme a un caro amico, maturammo l’idea di diventare Carabinieri. Però c’era la leva obbligatoria da fare, e allora ci sembrò così semplice di farla nei Carabinieri. Alcuni giorni dopo ci presentammo alla caserma dei Carabinieri di Magione, Comune di nostra residenza, chiedemmo informazione come fare domanda e quale prassi avremmo dovuto fare. Si presentò di persona il Maresciallo Comandante della stazione di Magione, ci disse con tutta la sua calma che era ancora presto, e che per la domanda dovevano tornarci dopo tre mesi. Puntuali tornammo entro i tre mesi, e lo stesso Maresciallo disse “ragazzi è troppo tardi, non si può più fare domanda“. Rimanemmo amareggiati e delusi, non nascondo che personalmente mi sarebbe piaciuto.

Allora ci venne l’idea: “andiamo dai Vigili del Fuoco”; e a bordo di un pullman di linea, scendemmo a Piazza Partigiani a Perugia, ci incamminammo verso i Tre Archi, dopo aver chiesto ad un agente municipale dove era la caserma dei Vigili del Fuoco.  Arrivammo in corso Cavour e presentammo domanda per vigile del fuoco ausiliario.

Dopo alcuni giorni il mio amico ritirò la domanda, io no, e iniziò da quel giorno per puro caso la mia esperienza nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, in seguito anche lavorativa. Ancora oggi ripensando la scorrettezza del Maresciallo fatta nei nostri confronti, di sicuro mi ha fatto un regalo. Non avrei mai pensato che a diciotto anni, pur provenendo da una realtà lavorativa molto qualificante e diversa, da una azienda metal meccanica seria, ed allora sana e quotata ad alti livelli: SAI (Società Aeronautica Italiana di Passignano Sul Trasimeno), il servizio di leva nei Vigili Del Fuoco, si sarebbe trasformato in una occasione di lavoro che io considero il più bello del mondo. Quindi, dopo tantissimi anni dico, grazie Maresciallo della sua disonestà.

Prima di essere arruolato come AVVA “Allievo Vigile Del Fuoco Ausiliario”, fui chiamato con altri ragazzi che avevano presentato domanda, dal Comando Provinciale Vigili del fuoco di Perugia, per la prova mestiere, la visita medica e la prova scritta. La prova mestiere per me fu da aggiustatore meccanico, mi venne fatto saldare con elettrodi due pezzetti di ferro sia in orizzontale che in verticale, sotto la supervisione dell’allora Capo Reparto Nello Castellani, bravissimo attrezzista. Come prova scritta, un dettato letto da Guido Morozzi allora vigile permanente, persone che ho conosciuto in seguito, poi la visita del medico del Comando dottor Losito e cosi preso idoneo.

Il giorno 3 marzo 1975, fui chiamato a prestare servizio a ROMA Capannelle, presso le Scuole Centrali Antincendi, come Allievo Vigile Del Fuoco Ausiliario nella allora sesta compagnia, 72° corso. Cominciò così la vera formazione da veri e futuri Vigili del Fuoco e perché no anche dei piccoli atleti. Quattro mesi intensi di dura formazione professionale da pompieri e militari, con un’ora e mezzo ogni mattina di attività ginnico professionale, con l’allora Professor Piunti, che dalla cima del suo palchetto, con precisi movimenti di braccia e colpetti di bacchetta, faceva fare ginnastica a tutti i ragazzi del battaglione di circa 900 allievi. Tutti allineati per file sul grande piazzale, bastava un semplice errore e si accorgeva subito.  Il suo era primo corso dopo la scomparsa dello storico Massocco. Marce con militari provenienti dall’esercito dal Genio; personalmente nessun problema era per me la fatica di tutto ciò, persona abituata al lavoro ed ai sacrifici, a volte però, mi irritava moltissimo la disciplina ferrea e il modo come veniva condotta. Ricordo con commozione il giuramento e il saggio finale del corso, di cui facevo parte, oltre alla parata militare, anche il corpo libero ginnico e professionale con scale controventate. Ricordo ancor oggi quei momenti indelebili e che sono stati per me un valore utile per il mio lavoro di Vigile del Fuoco e per tutta la mia vita.

Durante il servizio militare come ausiliario svolto nel Comando di Perugia, ho partecipato al concorso per esami a 3358 posti di allievo Vigile del Fuoco nell’anno 1975, di cui vincitore e assunto il 01 luglio 1976, nello stesso Comando di Perugia.

Sono stato nominato Capo Squadra con decorrenza 01 gennaio 1988, e assegnato al Comando Di Pistoia, in seguito al Distaccamento di Città di Castello e Perugia Centrale. Nominato Capo Reparto con decorrenza 01 gennaio 1998, assegnato al campo base di Cerqueto di Gualdo Tadino e Nocera Umbra durante il sisma, poi al distaccamento di Città di Castello. Dal rientro da Città di Castello alla centrale sono stato assegnato all’ufficio di Polizia Giudiziaria e Statistica per oltre due anni, in seguito fino al collocamento a riposo ho svolto incarico di Capo Turno provinciale in centrale per 8 anni.

Sono stato collocato a riposo il 01 aprile del 2015.

Durante la mia vita lavorativa ho partecipato a numerosi Corsi, sia da Vigile Permanente, Capo Squadra e Capo Reparto: corso patenti terrestri 3° grado e 4° grado. Corso Patente nautica per entrobordo e fuori bordo, Corso Prevenzioni Incendi primo livello, corso di Radioattività, corso di abilitazione e controllo prevenzioni incendi serbatoi G.P.L. corso Saf 1A e Saf 1B Presso il distaccamento di Senigallia AN, corso Sostanze Pericolose, corso T.P.S.S. corso di Polizia Giudiziaria, corso N.B.C.R. di primo e secondo livello, corso di fire investigation al comando di Terni, corso soccorritori aeroportuali al comando di Perugia e Roma. Assegnato d’ufficio facevo parte di una squadra antincendio all’aeroporto San Francesco, di cui ne ero responsabile come “rosso uno”, cioè il designato a comunicare con la torre di controllo in caso di interventi per incidenti all’interno della sede aeroportuale.

Scrivere tutti gli interventi particolari fatti in quaranta anni di servizio, sarebbe impossibile, sono stati tantissimi in un arco di tempo dal 1975 al 2015, anche da ausiliario, i militari oltre ai servizi vari e piantone alla porta, venivano inseriti regolarmente ed assegnati alle squadre e partecipavano a qualsiasi intervento del turno. Ricordo i numerosi incendi abitazioni e capannoni, gli incendi di bosco e sterpaglie, salvataggi e soccorsi di persone ed animali, i numerosissimi incidenti stradali e purtroppo con tantissime vittime e salme incastrati tra le lamiere. Le nostre superstrade e raccordi erano molto più pericolose all’epoca, prive di barriere new jersey e con attraversamenti a raso. Ricordo tantissime discese con scala a ganci e salite con scala italiana per semplici aperture di porte, dove non si poteva arrivare ed entrare con l’autoscala, spegnimenti di bombole di gas, allora molto usate sia per riscaldamento e utilizzate in tutte le cucine. Tantissimi interventi di sgomberi stradali e recuperi con l’autogru, i valichi appenninici non erano ancora serviti da quatto corsie, nelle strade in forte pendenza e nelle curve pericolose avvenivano numerosi rovesciamenti di materiali e mezzi pesanti, specialmente d’inverno con neve e ghiaccio. Vista la sismicità del nostro territorio ho partecipato a numerosi terremoti sia nella nostra regione Umbra sia a livello nazionale.

Ma l’intervento più significativo che tutt’oggi mi torna ancora in mente e che ricordo con una certa tristezza, ogni volta che percorro la superstrada da Perugia direzione Terni, è stata la tragedia di Todi, l’incendio del Vignola, dove si svolgeva una mostra di antiquariato. Quella colonna di fumo nero che si vedeva da lontano.

Ricordo benissimo la mattina del 25 aprile del 1982, giorno di festa; ero all’epoca vigile permanente e componente della squadra di seconda partenza; con alcuni colleghi commentavamo la guerra delle Falkland che la marina britannica sferrò alla Argentina, per la riconquista di una piccola isola inglese. La prima partenza uscì per un banale intervento e poco dopo intorno alle undici suonò la seconda partenza, per “incendio mostra a Todi palazzo Vignola”.

Uscimmo a bordo dell’APS 160 e la squadra era comandata dal capo squadra Diarena Gianfranco ed autista Giuseppe Chiaraluce, durante il percorso via radio cominciavano ad arrivare le prime notizie di un incendio grave con forse delle persone all’interno. Lungo la superstrada ci arrivò la vettura Comando con a bordo il Comandante all’epoca Dott. Ing. Gianfranco Eugeni, si posizionò davanti alla nostra autobotte e facemmo parte del percorso uno di seguito all’altro. Capimmo dall’enorme colonna di fumo nero che si levava dalla cima di Todi la gravità dell’intervento. Nella cittadina non vi era la presenza all’epoca di un servizio di Vigili Del Fuoco permanente. La lunga distanza dalla centrale e la ripida salita fino in cima alla città del Palazzo del Vignola non permisero di arrivare prima di quarantacinque interminabili minuti.

Al nostro arrivo si presentava un’immagine agghiacciante, fumo denso usciva dalle finestre del secondo e terzo piano fuori terra trascinato via dal vento verso i fabbricati circostanti, un odore acre ci infastidiva la gola. Con l’APS ci fermammo all’inizio della stretta via del Seminario dove si trova il palazzo, in corrispondenza delle finestre da cui usciva il fumo più denso. Il caposquadra fece accostare il mezzo a non più di cinquanta centimetri dalla parete per permettere il passaggio di persone e di eventuali altri mezzi di soccorso. Lungo la parete vi erano alcune scale appoggiate, che a malapena arrivavano al primo piano, e alcune corde rimaste a penzoloni. Un ragazzo andava avanti e indietro in preda alla disperazione con le mani evidentemente bruciate durante la discesa con una di quelle corde, fasciate con bende di fortuna. In fondo alla via si vedevano persone trattenute dai Vigili urbani. In quel momento eravamo ancora inconsapevoli di quante persone fossero imprigionate all’interno; in seguito sapemmo che alcuni per sfuggire al fumo e alle fiamme si erano lasciati cadere dalle finestre, altri avevano trovato scampo saltando sul tetto di un camion portato sotto le finestre e imbottito di materassi.

C’è una ragazza viva intrappolata al secondo piano!”,  ci disse urlando una persona nelle vicinanze mentre stavamo scendendo dal mezzo.

La nostra autoscala era fuori servizio e fu inviata quella da Terni, ma al momento non era ancora arrivata. Era impossibile raggiungere con la scala italiana il secondo piano di quell’antico palazzo dai soffitti altissimi. Al capo partenza Diarena venne un’idea ammirevole, di montarla sopra l’imperiale dell’autobotte. E dopo aver comandato al vigile Giampiero Sciurpa di indossare l’autorespiratore e di ispezionare l’interno del palazzo e all’autista Giuseppe Chiaraluce di preparare le manichette pronte per l’acqua, “Saliamo sopra la botte!” ci disse a voce alta.

Salimmo in tre, il caposquadra, il collega Baldacchini ed io, che fui incaricato del montaggio. Prendemmo il pedone e appena appoggiato alla parete distante circa un metro, un metro e mezzo, salii e alla sommità, mi passarono il secondo pezzo; io lo sollevai sopra di me allungando le braccia il più possibile. Come da manovra allungai la gamba sinistra per distanziare le bussole del pedone ma in quel momento mi accorsi che il piede non arrivava alla parete. “Non ci arrivo, tirate!” allora i due colleghi con notevole sforzo iniziarono a tirare indietro. “Ancora, ancora…Basta”; i due pezzi si allinearono e con un colpo secco innestai le relative bussole.

Immediatamente salii sul secondo e mi posizionai per ricevere il terzo pezzo che mi fu subito consegnato. Lo tirai su e lo spinsi in alto lungo la parete ma a differenza del castello di manovra dove il liscio tavolame di rivestimento fa scivolare agevolmente le bussole, in questo caso impuntarono sulla fascia marcapiano ben sporgente. A quel punto, facendo forza sulle sole braccia l’ho allontanato dalla parete e quando era quasi in verticale, rischiando che mi si rovesciasse addosso e mi tirasse giù facendomi la tanto temuta, famosa “cravatta del pompiere” la sollevai con le bussole oltre la fascia marcapiano. Allungai di nuovo la gamba per fare l’allineamento ma di nuovo il piede non arrivò alla parete. “Tirate, più, più.. Basta”; al ché i colleghi, facendo un altro sforzo con le braccia tirarono indietro, finché altro colpo secco, e giù piegato a prendere la cimetta che il collega, stendendosi al massimo, aveva già appoggiato allo staggio. Infilato il braccio destro e portata alla spalla salii ancora, giunto nell’apposito gradino, da solo, visto che a quella quota la scala era meno distante e il piede arrivava alla parete, innestai anche quell’ultimo pezzo. Eravamo alla finestra del secondo piano.

No al secondo piano è al terzo”, ci disse la stessa persona con voce disperata.

Uno smarrimento totale ci assali. Io guardai giù dall’alto come a chiedere “che devo fare?” I colleghi presi dalla disperazione mi guardavano come se fossi io che da lassù potessi fare qualcosa.

Scendi!” mi comandò il caposquadra.

Un’altra idea geniale gli era venuta in mente.

Prendiamo la scala a ganci e agganciamola al davanzale della finestra del terzo piano!

Eccola!” disse il collega mentre la stava dispiegandola dopo averla presa dall’apposito alloggiamento sopra all’imperiale.

Passatemela!” disse il caposquadra che nel frattempo era già salito fino al secondo pezzo. Al che insieme al collega l’innalzammo fino a che lui poté prendere il traversino di ferro e continuare la salita; io salii dietro aiutandolo a sostenere il peso. Giunto al davanzale della finestra del secondo piano e salito su di esso, ad una altezza di circa quindici metri, senza che nessun assistente potesse aiutarlo a mantenere l’equilibrio come prescritto nelle manovre da manuale, con decisione la sollevò ancora.

Alza ancora, ancora, ancora, ecco, basta, gira…aggancia!” gli dicemmo da sotto.

Al ché agganciò con cautela e testò che fosse stabile tirandola con forza verso il basso. Senza dire alcunché prese a salirla e in un attimo scomparve dentro la finestra da dove continuava ad uscire fumo. Poco dopo si affacciò dicendo: “Portatemi una corda!” Scesi a prendere una matassa dal cassettone sotto i sedili della cabina e ripartii per raggiungerlo al terzo piano. Le raffiche del vento facevano addensare e diradare in continuazione, vicino alla finestra, il fumo che continuava a provenire scurissimo e abbondante dall’interno, ed a momenti, si potevano intravvedere i contorni di ciò che stava a non più di un metro di distanza.

Scavalcato il davanzale andai ad appoggiare il piede sinistro sul pavimento quando sentii un qualcosa di morbido. Mi resi conto che il morbido erano dei corpi di quattro o cinque persone ammucchiati uno sull’altro, mi venne d’istinto un salto lungo ed evitai il pestaggio delle povere salme. Le stesse erano tutte insieme in prossimità della finestra, forse per respirare aria buona e pulita durante il lungo tempo intercorso, non vi era la presenza di fuoco, ma solo denso fumo e forte calore. Il caposquadra arrivato in precedenza aveva mosso i corpi per capire se ancora qualcuno respirava e fosse vivo, e una ragazza sopra di essi nel movimento aveva dato un forte respiro.

Leghiamola, forse è viva” mi disse, e intanto incominciò a fare il nodo.

Che nodo facciamo?”, chiesi.

Nodo farfalla”, “il Torino

Quando fu pronto il nodo per le gambe, ordinò “Infiliamolo, su su fino al bacino”.

Poi venne la volta che la corda doveva passare sotto le ascelle; non fu facile perché purtroppo la ragazza non poteva collaborare, bisognava sorreggerla.

Il nodo di blocco, fatto”.

La portammo fuori, al davanzale della finestra e al personale sanitario sotto disse gridando: “Arriva una ragazza forse viva!”, “Giù, giù mandiamola giù!”.

Il davanzale della finestra faceva da freno alle corde e diminuiva lo sforzo che dovevamo fare con le nostre mani e braccia, “Ancora giù!” fin quando non arrivò a terra e il personale sanitario la prese in consegna.

Nel frattempo arrivarono altre squadre con altro personale, e l’autoscala del comando di Terni, in appoggio, e fu ultimato e domato l’incendio attaccandolo sia dall’esterno che dall’interno. In seguito fummo sostituiti con altro personale e purtroppo toccò a loro il triste recupero delle salme di 34 morti e decine di feriti.

Sono passati ormai tantissimi anni dall’evento ma certi ricordi sono difficili da cancellare.

Durante il mio percorso lavorativo ho svolto numerosi incarichi: oltre al vigile di squadra e autista terrestre e nautico, svolgevo attività di responsabile autorimessa di turno, addetto al caricamento estintori. Inoltre, Capo Reparto responsabile del turno al distaccamento Città di Castello, incaricato all’ufficio Polizia Giudiziaria e Statistica e infine vice e capo turno provinciale. Ho fatto parte delle commissioni di esami, pratica e propedeutica ex 626 e 81/08 per addetti antincendi.

Ho partecipato con impegno a numerose calamità nazionali e locali in particolare: grossi incendi di bosco in provincia di Livorno, in provincia di Terni, alluvioni a Santa Marinella e in provincia di Roma e in provincia di Siena, grande incendio di una azienda che produceva plastica a Terni. Raddoppiati i turni più volte per terremoti e emergenze di incendi boschi e sterpaglie e grandi nevicate.

Ho partecipato a numerose calamità sismiche, anch’esse sia locali che nazionali: terremoto in Valnerina nel 1979, grande calamità sismica nel novembre 1980 in Irpinia e in provincia di Salerno, nel 1984 sisma a Valfabbrica e Gubbio, nell’anno 1997 due calamità sismiche: uno a Massa Martana e il secondo terremoto il 26 settembre in Umbria e Marche con altra scossa nel marzo 1998, in seguito sisma a L’Aquila il 6 aprile 2009; nel settembre dello stesso anno sisma a Spina di Marsciano.

Ho ricevuto con piacere numerosi piccoli riconoscimenti dalla nostra amministrazione e dal Ministero dell’Interno, per corsi fatti e calamità naturali; ma il più prestigioso è stato l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” con decreto 27 dicembre 2008.

Mi hanno soprannominato con vari nomignoli: Menco, D’Alema, Adrien e anche Mitico, che ho accettato senza problemi con simpatia e affetto.

I miei interessi speciali sono stati sempre gli stessi, sia durante l’attività lavorativa e anche dopo la pensione: fare piccoli lavori di qualsiasi genere, anche di muratura per la costruzione della mia abitazione e lavoretti con ferro battuto.

Come impegni sociali ho cercato sempre di aiutare persone più bisognose di me.

I miei desideri per il mio futuro: vorrei tanta salute a me e tutta la mia famiglia, così come per tutti.

Ma la cosa più bella sarebbe rivivere tutta la mia vita professionale anche per un breve periodo. Sarebbe un sogno fantastico, rimetterei nel lavoro, tutta la mia forza e il mio impegno, come ho fatto in passato, specialmente nei momenti più difficili, che al Vigile del Fuoco comporta. Vorrei rivivere tutti quei momenti che ho vissuto ogni fine intervento, la stanchezza, il sudore, il caldo e il freddo, gli abiti bagnati e sporchi e qualche momento anche di paura, che il nostro lavoro ci riserva. Vorrei rivivere nel cuore quella gioia, quella felicità, di essere riuscito ad aiutare tantissime persone, di aver risolto i loro problemi e salvati dalle loro disavventure. Oh come era bello, sentirmi dire semplicemente ogni fine intervento “grazie”, magari accompagnato da un sorriso. Quella semplice e meravigliosa parola che va sempre più scomparendo, che non costa nulla, che non chiede niente in cambio, quel grazie era per me un valore immenso. Mi rendo conto di avere chiesto per il mio futuro, qualcosa di impossibile, tutto rimarrà un grande sogno, nella vita non si può tornare indietro, e la mia vita è stata come salire su un treno velocissimo senza fermate, ma quei ricordi rimarranno per me immagini indelebili del passato e ricordi di vita.

Credo fermamente che nella vita, tutte le persone, senza distinzione di razza, di sesso, classe sociale, titolo di studio, o idee politiche diverse, hanno il dovere e il diritto di lavorare; ma amare il proprio lavoro sia un privilegio di pochi e questo per me lo è stato.

Per chi lo volesse vorrei essere contattato oltre al telefono con E-mail (adrianomencaroni@libero.it )